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Data: 11 aprile 2005
Ora: 21:00
Locale: teatro Smeraldo
Città: Milano (Mi)

Informazioni:

Grazie a MAURIZIO ZOTTARELLI che ha scritto in esclusiva per noi la recensione della serata.

I protagonisti, alla fine, sono stati i calzoni del Davide. Agli osservatori più attenti non è sfuggito e, al termine del concerto, nel foyer non si parlava d’altro.
Tutto è cominciato con il “Baron”. Sala buia, palco buio, fumo di scena, l’ingresso alla spicciolata dei musicisti, tutti in divisa regolamentare, le prime note… Poi è arrivato lui. Con il costume di scena della tournee. A metà però. Cappottone intarsiato d’ordinanza, camicia a righe trasùdeciùc come si conviene, cravattino alla Mississipi blues, gilè gitano… A quel punto qualcuno dal fondo della sala già osservava: “E il capel? ‘n due l’è la tuba del baron?” Già, mancava la tuba… Qualcun altro si è affrettato a tranquillizzare la platea: “E’ il mistero, è il mistero… Un tocco di mistero in più…”. Ma quando le luci si sono alzate è stato chiaro che c’era qualcosa di speciale nell’aria: sono comparsi loro, i calzoni. Non quelli in gessato rosso e nero alla Bela Lugosi, non quelli da cacciatore di streghe nelle paludi di New Orleans. No. Dei jeans. Dei normali jeans da graffitaro newyorchese, di quelli con mille tasche e con tanto di risvoltone in fondo. E, infatti, c’è stato subito uno spettatore in ottava fila che spiegava che era per la pioggia: “Te se”, diceva “su al lago gh’è l’acqua alta”. A dire il vero, l’uomo è stato immediatamente tacitato da un tizio di Melegnano che ha raccontato che una volta al lago lui ci è stato e ha visto di tutto: bianco, rosso, rosè, Braulio, centerbe dei frati… ma acqua neanche un goccio!
Però, a quel punto tra le poltroncine rosse dello Smeraldo correva, indiscutibilmente, un’elettricità diversa. Saranno state le venticinque, dico venticinque, chitarre di Phyton che frustavano senza tregua le migliaia di cauboi in platea e galleria; sarà stato Anga che sfiorettava sul violino come un moschettiere del re; sarà stato il motore diesel di Alessandro che ha alzato i giri al motore; sarà stato quel Saro che sembra sempre comparire per caso, come uscito al momento giusto da una festa di paese; sarà stato il plotone con gli ottoni spianati della Bandesfroos; sarà stato questo o sarà stato quello, ma io, con tutta la mia fila, a un tratto siamo volati via che Fendin e le sue streghe, a confronto, sono degli impiegati del catasto inchiodati alla loro cadrega in ufficio.
A guidare la fila era Nona Lucia con il prete sul sellino di dietro della scopa, tutte e due, manco a dirlo, ciuchi persi. Poi arrivava il Ziu Gaetan con una spada in ogni man, incazzato nero perché gli avevano portato via anche il barbagianni. E dietro Kapitan Kurlash, e l’omm de la tempesta sulla moto taroccata di Sugamara, e il contrabbandiere del paradiso dello scorpione inseguito dal ladro dello zodiaco, e il baron con Nonno Aspis e il Genesio che mangiavano polenta e gallina fredda. E c’era anche il prigioniero, libero sulle ali della tramontana e pure della Breva e del Tivano. E poi Madame Falena con il corvo sulla spalla, e il maresciallo a braccetto del contadino in canottiera, Guglielmo Tell vestito come uno della Bandesfroos, il giardiniere che per l’occasione cantava perfino canzoni d’amore, Phyton con la sua chitarra azzurra a fiorellini, il percussionista che suonava un asse per lavare (gli esperti assicurano fosse quello citato in Akuaduulza), Saro insieme al fantasma del lago…
Cari cauboi, che viaggio, anzi che festa. Come in un paese dove ognuno porta quello che ha: chi una storia, chi del vino; chi una preghiera, chi un ballo; chi un sorriso, chi niente… E stata una grande festa del paese dei cauboi e della tribù dei desfroos con il gran capo Davide e la sua corte dei miracoli che correvano avanti e indietro, di contrabbando, al confine tra le antiche fiabe del lago e gli amici di oggi con la bricola in spalla, tra il legno della pianta che fu e le foglie di una nuova primavera, tra le radici del mistero antico e il desiderio dei frutti presenti, tra una camicia e un gilè da gitano e jeans e scarponi da contrabbandiere.
Così l’akuaduulza porta a riva cose nuove e cose antiche, canzoni di oggi e suoni di ieri, e i ricordi svelano il passato, ma puntano lo sguardo sul presente. E quell’onda ci tocca tutti, come in una festa di paese, che è la festa di tutti, del sindaco e del parroco, anche se per ciascuno, per un motivo diverso.
Ma alla fine, via la tuba, via il cappottone, rimboccate le maniche della camicia a righe trasudeciùc, i calzoni e gli scarponi da contrabbandiere hanno avuto la meglio: il fremito della danza si è visto salire da basso, dai piedi, su per le gambe, scuotere la chitarra e riempire l’intero teatro. Ci siamo ritrovati tutti sulla curiera, ognuno con la sua storia, che era bello fosse anche un po’ quella degli altri.

maurizio zottarelli

le prove

Tiziana

Python

Anga

Pablo e Davide

Alessandro

Saro e Anga

Davide e la Bandesfroos

La Curiera

La Curiera