Daniele Sepe

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Daniele Sepe

Messaggioda VanDeOmar » mar dic 21, 2004 5:17 pm

Da IlMattino.it
Di viaggi in musica e contaminazioni etniche non se ne può proprio più:
ormai sono di moda e servono quasi sempre per nascondere pochezze ispirative
e/o esecutive. «Nia Maro», nuova pagina dell'atlante sonoro di Daniele Sepe
si sottrae però all'inflazione-trend del momento per almeno un paio di
motivi. Innanzitutto, il sassofonista-compositore napoletano esplora ormai
da anni i suoni popolari d'Italia e del mondo con coerenza d'intenti e d'approcci
se non di stile, vista l'eterogeneità della sua produzione. E poi, dato non
sottovalutabile, anche questo suo disco suona bene, emoziona, recupera
pagine ingiustamente dimenticate, le rilegge con spirito critico ma
rispettoso, senza farsi nessun problema di tenere insieme echi di tradizioni
contadine e chansonnier anarchici, Miles Davis e Brancaleone alle crociate.
Fedele alla - propria - linea, Sepe ha scelto per presentare ieri il cd
edito dal «Manifesto», il Calderone, storico locale-coperativa del Rione
Traiano: «È un ritorno alle origini», spiega, «qui ho mosso i primi passi
della mia carriera, qui ho suonato tanto, ascoltato tanto, discusso tanto. E
qui vicino c'era l'unica emittente di sinistra, Radio Spazio Popolare. C'è
un motivo per il nome della mia band, gli Art Ensemble of Soccavo». «Nia
maro» in esperanto vuol dire «mare nostro», ma parla di un mae amaro, come
le lacrime napuletane degli emigranti italiani che partivano alla ricerca di
fortuna in America, come le lacrime extracomunitarie dei maghrebini che oggi
cercano «Lamerica» in Italia, come le lacrime dei senza patria di tutto il
pianeta, delle anime migranti per condanna e non per scelta. Sepe e i suoi
sempre straordinari compagni scelgono la strada dell'internazionalismo
sonoro, oltre che politico. Cominciano con una «Tammurriata» per poi giocare
col folk e l'arte della manutenzione del saltarello cinematografico citando
le colonne sonore di «Pane, amore e fantasia» e «Brancaleone alle crociate».
Nessuna chiusura autarchica, però, anzi, ecco la sensualissima armonia di
«Lamma bada» dell'egiziano - e purtroppo conosciuto solo nei circuiti
arabi - Selim Al-Nasry, ecco il caposcuola di gran parte dei cantautori
storici italiani Georges Brassens («Les Amourex des bancs publics»). Se di
viaggio in musica si tratta, qui i viaggiatori sono confusi e felici di aver
perso la rotta, di avere la bussola fuori uso, ma i sensi più che mai in
funzione. E naufragar è dolce per l'ascoltatore in compagnia della ciurma
dell'accolita sepiana: gli aficionados sono rappresentati dall'ugola
cosmopolita di Auli Kokko, Massimo Ferrante, gli Art Ensemble of Soccavo; le
new entry dal tunisino Marzuk Mejiri, i Terragnora di Matera e un pugno di
viaggiatori newpoletani sospesi tra jazz e suoni veraci (Antonio Onorato,
Salvatore Tranchini, Aldo Vigorito , Marco Zurzolo e Gino Evangelista). La
dedica al «compagno Mario Scarpetta», la voce di Orson Welles che annuncia
alla radio la notizia della (falsa) invasione marziana degli Stati Uniti, le
belle foto del libretto che mostrano la resistenza di antichi riti popolari
alla globalizzazione incalzante: «Nia maro» è anche questo, un segnale di
disperata difesa di spazi sottratti alla normalizzazione, sonica e non, al
leccisismo culturale, alla banalità quotidiana della musica-fast food. Brano
dopo brano, le scansioni solari del reggae giamaicano si alternano a quelle
più cupe della Sicilia di Rosa Balistreri o a strane fughe in Epiro. «Mar
nostro vuol dire che il mare non è solo di D'Alema con la sua barca, o di
Previti con la sua barca», spiega Sepe sul suo sito (www.danielesepe.com),
«ma soprattutto di quelli in gommone e di me in canoa... Forza Livorno!».
VanDeOmar
 
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