14/03/03 "Libertà" (PC)

Articoli su Davide e il suo mondo apparsi su giornali e riviste

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14/03/03 "Libertà" (PC)

Messaggioda Michi » ven mar 14, 2003 5:31 pm

Alcuni simpatici interventi a Quelli che il calcio, un album dal vivo titolato Laiv e un paio di commenti stizziti da parte dei politologi della canzone italiana, quelli che ancora non hanno digerito il suo dialetto lombardo. Mescolate velocemente questi elementi e otterrete il volto sereno e ruspante di Davide Van De Sfroos, cantautore lariano che ha stupito tutti con un successo inatteso e dai contorni davvero inediti. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l'intrigante menestrello del Nord prima della data di stasera al Fillmore di Cortemaggiore. Davide, non è che forse qualcuno se l'è presa con te perché il tuo successo non era previsto? «Dalla mia parte ho una grandissima passione, la stessa che può avere qualsiasi altro artigiano, free-climber o giardiniere per il suo mestiere. Se poi qualcuno ha storto il naso perché non sono Ricky Martin e perché non sono un accanito presenzialista mediatico, io davvero non so che fare». Mi ha molto colpito scoprire che provenivi da Como. Un artista così sanguigno da una città un po' formale e sempre in doppio petto. «Devo correggere, in parte, la tua premessa. Non sono esattamente di Como; io vengo dal lago, sono un lariano puro. E se conosci Como saprai che lariani e comaschi sono due razze ben diverse (ride, nda). Siamo gente nata con poco, fra una montagna che si erge aspra e solenne ed un lago profondo non si sa quanto. A pochi chilometri c'è Como, città che vive molto sulle fortune passate. Emancipata ed elegante. Ma non è né Milano, né la Svizzera. Ecco, io sono figlio di queste palesi contraddizioni». «Laiv», il tuo ultimo album dal vivo, sta consacrando un tuo periodo molto fortunato. Mai pensato di smettere il dialetto per vestire i panni della lingua italiana? «Alcune canzoni le ho già parzialmente scritte in italiano, ma in effetti sono una minoranza. Per ora non mi interessa lasciare il dialetto, perché ancora più che la musica o la letteratura a me interessano i suoni, l'opportunità di gettare ponti concreti fra mondi diversi. Il mio dialetto ha un suono particolare, più o meno musicale». Ricordo un tuo siparietto tv in cui, con il figlio di Galliani, parlavi con molta coscienza critica di musica metal. E' un vecchio amore? «Il metal, come tante altre cose, è un vecchio amore (mai sopito) nato in tarda gioventù. Sono nato con i Clash, i Pistols e gli AC/DC. Poi ho spinto sull'acceleratore, arrivando fino ai Morbid Angel». Perché ancora oggi se canti in napoletano sei solo un artista fiero delle proprie origini e se canti in lombardo sei un figlio della Lega? «Le musiche del nostro Sud hanno alle spalle una storia che è stata scritta proprio grazie all'entusiasmo degli autori. Noi settentrionali, più meditabondi e nebbiosi, forse non abbiamo mai cercato davvero di esportare il nostro grande patrimonio (dai pezzi degli Alpini a quelli delle mondine, passando per i canti partigiani). Se un cantore del Nord come me tenta di “comunicare” le sue radici, ecco che salta fuori il discorso delle camicie verdi. La fiera dello stereotipo, insomma». Emiliano Raffo
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