Da "Corriere della Sera" del 21/11/2011

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Da "Corriere della Sera" del 21/11/2011

Messaggioda Fantasmino » mar nov 22, 2011 9:42 am

Personaggi:
Da voce padana a big del Festival: il prossimo lo vedrò in poltrona
Sanremo, la fama, lo psicologo L' anno d' oro di Van De Sfroos
Il cantautore: bello il successo, ma volevo ritrovare me stesso Il dialetto? Chi non lo capisce si spulcia i libretti e arriva preparato ai concerti

MEZZEGRA (Como) - «Non sono quello che sono per Sanremo ma per quello che ho costruito passo dopo passo. In 11 anni di carriera avevo caricato progressivamente il cannone: un grilletto potente come il Festival mi ha fatto esplodere». Un anno fa più o meno di questi tempi Davide Van de Sfroos, il cantautore laghee, veniva chiamato da Gianni Morandi. «Cercavo una strategia per dirgli di no, ero impegnato con la scrittura dell' album, poi è venuto qui e i suoi manoni mi hanno convinto», ricorda oggi. Qui è la piazzetta di Mezzegra, da un lato i cantieri Abbate, eccellenza italiana della cantieristica, dall' altro la tranquillità di un paese incastrato fra acqua e montagne, al centro una grande magnolia. Qui c' è il «baricentro emotivo» di Davide, qui si muovono i personaggi e le storie che ha trasformato in canzoni in 12 anni di carriera, riuniti ora nel «Best of 1999-2011» (doppio cd più dvd uscito questa settimana). Non ci tornerà quest' anno («Sarà rilassante poterlo guardare senza essere coinvolto, ma con gli occhi e l' emotività di chi c' è stato»), ma il Festival lo ha sdoganato. Quarto posto, critici convinti senza distinzioni regionali, un tour di 50 date dal nord alle isole che riparte il 25 febbraio con il ritorno al Forum di Milano-Assago. «Per i bookmaker però ero quello sfavorito». Una carriera a dover spiegare chi era. Anzi, chi non era. «Cantavo in lombardo, Bossi e Castelli venivano ai miei concerti... l' equazione era semplice e faceva notizia così dicevano che ero il Dylan della Padania. Ma al sud sono sempre stato accettato e qualche leghista si è preso pure qualche fischio ai miei show». Dopo il napoletano, che in musica fa gara a sé, e qualche esperimento a metà (Pitura Freska e Tazenda) è stato il primo a portare un dialetto al Festival. Ora che ha aperto la porta chi ci vorrebbe vedere all' Ariston? «Peppe Voltarelli, una potenza che sta fra Modugno e i Clash. Oppure Patrizia Laquidara, raffinata e adatta al contesto teatrale. Fra i lombardi i Treni in corsa che raccontano un nord non solo di crisi, nebbia e fabbriche ma pieno di allegria». Davide non ha mai pensato di cantare in italiano. E il suo pubblico non ci pensa nemmeno a chiederglielo: «Anche chi non parla il mio dialetto si spulcia libretti e traduzioni e arriva preparato. Molti si sono avvicinati perché sono quasi esotico e adesso hanno paura che io possa ripudiare il passato. Gli unici che me lo chiedono sono i teorici da aperitivo». Un duetto però... «Con Max Pezzali: è stato ospite di qualche mio concerto e abbiamo duettato su "Pulènta e galèna frègia". Mi ha confidato che quando è da solo canta in dialetto, mi piacerebbe dargli un mio inedito. Poi ho un buon rapporto anche con Zucchero e Irene Fornaciari e con De Gregori». Nel «Best of» ci sono anche dei racconti inediti. «Prima dell' estate sono andato a darmi una ripulita da uno psicologo. Ero troppo concentrato su Davide Van de Sfroos stavo perdendo di vista Davide Bernasconi. Mi ha parlato di un libro che Jung aveva scritto per se stesso e mi ha consigliato di scrivere qualcosa che sento dentro di me, una sorta di diario senza tempo». Dopo anni di personaggi surreali (ma realissimi) si tratta di scritti personali, come in prima persona sono state le canzoni di «Yanez»: «La musica è una piattaforma e continuando a lucidarla è diventata uno specchio che riflette quello che ha di fronte, cioè me stesso».
Andrea Laffranchi
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