Van de Sfroos, Tom de Zingotita e Johnny Cash
di Giorgio Bardaglio
Tra un paio d'ore Davide Van de Sfroos salirà sul palco del Pianella e - posso già metterci la firma - sarà un successo, una di quelle sere di cui dire "Io c'ero" per una vita.
Tom de Zingotita, con quel nome che starebbe a pennello proprio in una canzone di Van de Sfroos, è un sociologo e docente esperto di media nelle ampie e luminose stanze della New York University. E' stato lui a teorizzare che in un mondo globale eppure spezzettato in mille rivoli di cultura, a creare un'identità tra i giovani è la musica.
Ci pensavo tre giorni fa, in macchina, mentre mio figlio, i miei figli, facevano il diavolo a quattro per risentire per la terza volta la canzona numero cinque dell'ultimo cd di Van de Sfroos, "La macchina del zio Toni".
Ma che sia proprio lui, de Sfroos, il cantante preferito dai miei ragazzi non dispiace affatto, anzi, mi conforta.
Perché oltre a mantenere viva la tradizione dialettale egli è l'esatto opposto del cortile ristretto, dell'orizzonte limitato, della porta chiusa.
E non parlo soltanto delle influenze etniche che rendono i suoi dischi un mappamondo e insieme un arcobaleno, in scala ridotta.
Intendo anche i riferimenti diretti a gruppi o autori mitici ma ignoti alla maggior parte degli adolescenti. Ramones, Black Sabbath, Robert Johnson, Woody Guthrie, Jimy Hendrix... Una compilation da brividi, che i binari della televisione neppure sfiorano ma che nel mondo di You Tube sono a portata di clic per chiunque sia curioso e non si limiti a ciondolare ritmicamente la testa.
Me ne sono accorto sempre attraverso i miei figli, quando Giacomo - il maggiore, quattordici anni - mi ha passato il computer e sul monitor è comparso l'ultimo video che aveva scelto: Ghost riders in the sky di Johnny Cash.
Applausi.