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Articoli su Davide e il suo mondo apparsi su giornali e riviste

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Messaggioda breva » lun mar 21, 2011 10:14 am

Davide Van De Sfroos: "Yanez"
I confini sempre più vasti del contrabbandiere del lago
di Giorgio Maimone

Diavolo di un Van De Sfroos, mi ha bidonato ancora! Lui sa che a me piace ascoltare un disco (disco, disco, quale album!) in sequenza: dal primo all’ultimo brano, senza random, senza shift, shuffle, fast forward e diavolerie varie. E cosa mi combina. Fa questo “Yanez” e piazza all’inizio una serie di sette belle canzoni, chiuse dal brano omonimo che è andato a Sanremo. Poi Davide è un perverso e quindi ama stipare i dischi all’incredibile. Ne discende che è difficile, casualmente, ascoltare tutto l’album in fila. Ne ascolto la prima parte e, molto sovrapensiero, lascio scorrere qualcosa anche della “seconda facciata”, ma non ci faccio caso. Il tempo di sbilanciarmi in: “sì un buon album, ma troppo lungo e “Pica!” aveva qualcosa in più” che arriva il fine settimana.

Sabato e domenica mi inchiodo all’ascolto matto e disperatissimo ed ecco che si svela tutta la perfidia del Davide. La seconda metà del disco è carta abrasiva, ti prende lo stomaco, i nervi, la sinderesi e te le miscela senza interruzione di continuità. Non con la potenza della musica, che anzi si fa calma e riflessiva, ma con i temi trattati. La “facciata B” è un pezzo d’opera senza dubbi in mezzo! Da “El pass del gatt” fino a “Rosa del vento” si tira il fiato solo, per modo di dire, in “Setembra” che è un brano apparentemente facile. Ma il resto! Signori miei, che brividi, che emozioni, che grandi canzoni!

Davide ha sempre avuto facilità a scrivere storie, ma queste storie non sono come le solite. Lo si capisce, lo si sente: sono più vicine, sono più intime, sono meno distaccate. Certo, spesso parlano ancora e anche di altri, ma il Davide che stava profondo sotto le sue canzoni in passato, qui appare molto più in superficie, appena sotto pelle, con le sue passione, le sue idiosincrasia, le cose che ama e quelle che non riesce a mandare giù. Ascoltatelo bene, ascoltatelo a fondo, ma, fatemi un piace, leggetelo anche. Non per il dialetto, che è lo stesso mio e non faccio nessuna fatica a seguirlo, ma perché le parole, in qualsiasi lingua, in qualsiasi calata, in qualsiasi accezione, sono importanti, sono essenziali, sono pietre che, a volte, rotolano.

Eh sì, in Davide Van De Sfroos c’è assimilato, capito e digerito il meglio della musica che ci è girata intorno: da Bob Dylan, a Springsteen (quello di “We shall overcame” o di “Nebraska”), da Woody Guthrie ai Pogues, da John Mellencamp a Joe Ely, dal punk ai Clash, da De André a Jannacci. E poi, in mezzo, mischiato e indistinguibile, in fin dei conti c’è tutto Davide Bernasconi.

Facciamo una pausa e buttiamoci a corpo morto nel disco: prendiamo la penultima canzone: “Ciamel amuur” (chiamalo amore) e fate attenzione a cosa sta raccontando. E’ così bella che non posso che pubblicare tutto il testo. Attenzione: è raccontata in prima persona femminile, ma è cantata da Davide con normale voce maschile. Ne conoscevo uno che faceva così: si chiamava Fabrizio De André.

E non c’è niente da fare. O in laghèe o in italiano sono brividi comunque, è commozione, è impressione grande. Stare dalla parte degli ultimi è la lezione di De André. E Davide prende l’ultima degli ultimi: una collaborazionista dei fascisti, rapata a zero ed esposta al pubblico ludibrio. Poco conta, per gli altri, che lo abbia fatto per amore, per fermarli mentre stavano inseguendo “lui”; questo lui così amato che lei non esita un attimo ad alzare la gonna bella e, nonostante la paura, a dire “dai” a tutti quelli che lo stavano inseguendo. Poi è stata messa all’indice, rapata a zero, bollata come puttana dei fascisti, ma lei sa che l’ha fatto per amore. Ed è struggente sentirle dire: “chiamalo amore / … o non chiamarlo per niente” (o, ancora meglio, in dialetto: “ciamel amuur / o ciamel nagott”). E ancora più struggente il ritornello finale: “per piacere, chiamalo amore / anche se io non l’ho mai detto / chiamalo amore / chiamalo amore / chiamami amore”. Ho ancora adesso mentre scrivo i brividi alti come montagne, come le cime dei pioppi che alitano al vento. E’ bella questa canzone! E’ semplicemente bella. Troppo bella.

Ma sarebbe troppo semplice se fosse tutto qui. So che mancherà la spazio per parlare altrettanto di tutti i brani. Ma “Il reduce” è un’altra canzone da non lasciare scivolare via: “Aspetta un attimo a cacciare via il sole / e a lasciarmi solo con l’ombra / Sul muro la tua croce sembra che dondoli / quando accendo il camino / La poltrona conosce il mio peso / ma a sfondarla è questa memoria / che arriva col suo fiato di zampogna / per non fermi dormire / E se guardo questo guanto di pelle / con sotto un pugno fatto di legno / mi chiedo se la mano che ho perso / sta ancora sparando / o forse è stato il tuo regalo / strapparmi questa mano sciagurata / che pregava per non farsi uccidere / e sparava, sparava, sparava / ad altra gente che sparava / e sparava, sparava, sparava / ad altra gente che pregava”. Mezzo secolo dopo è la stessa canzone della “Guerra di Piero”, ma vista dalla parte di uno che è tornato (quasi tutto) a casa. Tutta da leggere, ascoltare e capire. Ogni singola immagine: dal bacio della morte, ai tre chiodi della croce di Cristo (“La mia, ovviamente, uno in meno”), ai soldati che imparavano “la geografia contando ogni posto che bruciava”.

“Dove non basta il mare” è canzone epica, è lezione di tolleranza. Van De Sfroos, cantore laghèe per antonomasia, canta la strofa in italiano e il ritornello è in dialetto, ma in friulano la prima volta (canta Luigi Maieron), in siciliano la seconda (Patrizia Laquidara), in calabrese il terzo (Peppe Voltarelli) e in greco (Roberta Carrieri) e conclude Davide nel linguaggio sciamanico di “Shymtakula”, spegnendosi in un rantolo. Un inno ad andare oltre le frontiere, “dove non basta il mare”: il vestito di Arlecchino linguistico di cui è vestito questo lungo stivale.

Ma devo ancora parlare de “El pass del gatt”: “sono cresciuto / ma non poi tanto / in questo posto dove il sole ti sbrana / dove inciampa anche la biscia / dove il tramonto non ha mai fretta” …”in questo posto non passa mai nessuno / non si ferma più nemmeno il tribunale / ma io una sera ho baciato una donna / e dietro una pianta mi ha detto il suo nome” e lei “ogni tanto arriva e ogni tanto se ne va / ho imparato ad aspettarla e poi a lasciarla andare”. Chi è lei? Non si sa. Ha il tatuaggio che le hanno fatto in prigione, che si vede quando si toglie i vestiti e la faccia è coperta per metà da un sorriso, per l’altra metà da una cicatrice. Lei che si muove con il passo del gatto e che è arrivata senza calze e senza amici. Magnifico l’arrangiamento, con un fischio che ricorda Morricone e dà l’aria di western al tutto.

Lo so, devo fermarmi. Dico solo che “Yanez” la conoscete tutti da Sanremo, che la finale “Rosa del vento” è come di prammatica un brano sul vento, che il disco porta via ed è un gioiellino acustico di 1’36”, che “Il camionista Ghost Rider” è da non perdere: un po’ sull’onda del Cimino o di “Balera”: quando Davide fa ridere. Qui però si parla di musica e la risata è per iniziati: prima del Gottardo da un passaggio a Johnny Cash, poi tocca a Woody Guthrie, Robert Johnson e Jimi Hendrix. Spettacolare la battuta con Roberto Johnson, il bluesman che suonava la chitarra come nessuno perché, si dice, avesse venduto a un crocicchio (crossroad) l’anima al diavolo in cambio della maestria nel suonare la chitarra. “la sua chitarra sembra vada a pezzi / ha le dita come dieci anguille, la pelle marrone / e la voce da donna / mi dice devo scappare dal diavolo / che mi cerca con in mano il mio contratto / Hey Robert Johnson, dai che andiamo, dai che andiamo / Comacchio non è la Louisiana, a le zanzare sono più cattive / neanche il diavolo si fa vedere quando è in arrivo l’ora del tramonto / e non temere per i crocevia … ché in Italia ormai sono tutti rondò”. Grande! Risate e applausi! Al casello di Cesena la stradale lo ferma. "Sembravate in cinque dentro la cabina un minuto fa". "Ci sono solo io con tutti i miei dischi / ma prego, potete controllare".

“Yanez” (e attenti al titolo che, non a caso, è dedicato al comprimario e non al protagonista Sandokan) è un disco pieno come una zeppola. C’è di tutto: dalla commozione alla risata. C’è dentro Davide, nudo forse come mai, con l’anima in mano, un’anima sensibile, un’anima femmina (come direbbe il mio amico Maieron), in grado di capire gli altri, osservarli e comparteciparvi. "Un poeta è una persona nuda", diceva Bob Dylan tanto tempo fa e concludeva "Qualcuno dice che io sono un poeta". Davide è un poeta. E’ pathos, è musica da ballare e musica per pensare. Ed è, tanto per cambiare, uno dei più belli dischi dell’anno!
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Messaggioda breva » lun mar 21, 2011 10:15 am

di Giorgio Maimone
"Yanez"non è un disco solo. Sono due. Basta ascoltarlo senza bende sulle orecchie e leggere le note. Metà dei brani (circa), per l'esattezza 8, sono stati registrati ai McWave Studios di Brescia da Dario Caglioni o Paolo Costola e altri 7 da Alessandro Gioia a Villa Lizarda di Bonzanigo, Como. Ossia a casa del Davide. E non sarà nemmeno un caso che i brani registrati da Alessandro Gioia sono molto più densi, profondi e calmi. In fondo "Yanez" è il primo disco che Davide fa per una major e può darsi che siano arrivate richieste nel senso di una maggiore "ascoltabilità" e di una scelta meno spinta verso la musica di nicchia. Fatto sta che, a me. è proprio la nicchia che piace. Quando Davide, in casa sua, con pochi amici rifà John Mellencamp e canta le sue storie soffuse, delicate, scritte con le parole conosciute dai pesci. Ciò detto "Yanez 1 & 2" è un disco che suscita ammirazione. Solo il tempo potrà dire tra "Yanez" e "Pica!" quale durerà di più. "Pica!" sembrava più puro, senza concessioni. Che qui ci sono. Almeno due canzoni sono sotto la media del Davide: "La machina del ziu Toni" (brutta) e "Setembra" (inutile). Il resto va dalla meraviglia al piacere semplice. E non è affatto poco. Ma tant'è: il gioco è questo. Per "Yanez" utilizziamo il giudizio in "Tigri della Malesia"! Cinque tigri rappresentano il massimo di gradimento, una il minimo. Sono, come sempre, giudizi del tutto personali che non inficiano in alcun modo il lavoro di Davide né le preferenze personali di chiunque altro.

Ciamel amuur

Ed ecco che Davide, quello che "me canzun d'amuur en scrive mea", scrive una delle più belle, profonde, sincere e pudiche canzoni d'amore di tutti i tempi. Nella storia della collaborazionista che si sacrifica per amore c'è il paese tutto intero, con quel suo misto di pudore e di ipocrisia. La storia vissuta e segnata sulla pelle. Senz'altro una storia vera, ma riportata in vita, vivida, dalla poesia. Paradossale, ma sembra quasi una canzone di Maieron. A volte la vicinanza crea travasi.

La frase: "Faseven ropp che pensavi mai / senza gnanca tirà foe i stivaij" / gh'eri paguura, ma disevi "dai"


El pass del gatt

Altra canzone d'amore,strana, controversa, improbabile. Troppo per non portare tracce di qualcosa di personale. Un ragazzo che va in giro col coltello e fa il bagno con gli aspidi e quando sembra che rida è solo una smorfia per il troppo sole, incontra una donna senza calze, con sul corpo un tatuaggio che le hanno fatto in prigione e la faccia metà sorriso e metà cicatrice. E' una storia d'amore consegnata alle foglie, ma non durerà.

La frase: "Strengéva fort e se lassavi streeng / cumé un ragn stremiì muvevu u brasc che gh'eri / e me pareva de balà in unt ango tra l'erba salvia / e tucc i pagni strenduu"

Maria

Fisarmonica e violino accompagnano il canto di Maria, in una sera in cui "i profeti della birra rossa media / si sistemano la sedia / e poi non sanno più cosa fare". Maria, con la gonna troppo corta, viene da un paese lontano e non si sa nemmeno se si chiama Maria. Slaccia cinture e dipinge col rossetto dei suoi baci tutti quelli che la chiamano, per poter mandare i soldi a casa. Delicatissima storia di prostituzione di paese. "Bocca di rosa"?

La frase: "Qui nel lago certe stelle son cadute e le cravatte son svenute / ma se beef un oultu giir / e domani ci sarà la processione / e vuoi imparare una canzone che nessuno imparerà"


Il camionista Ghost Rider

Prima canzone vivace in ordine di preferenza dell'album. Divertente e (se non erro( anche autobiografica. E' la passione della musica che a un camionista qualunque fa incontrare per strada i fantasmi degli eroi del rock, fino a riempire stipata la cabina del camion, ma quando la stradale lo ferma, dentro ci trovano solo il camionista e la sua musica. Divertentissimo il pezzo su Robert Johnson.

La frase: "Hey Woody Guthrie, scià che vem, scià che vemm / questa tera l'è la tua tera ma adess perl mangen pioe / l'onda verde la dis nagott / ma questa nigula finirà / de dree ghe mia la California ma a Cesenatico podum Ruvà"

Dove non basta il mare

Canzone ecumenica, dedicata, senza fare troppo struscio, ai 150 anni dell'unità d'Italia, non attraverso la storia maggiore, ma attraverso la koiné delle lingue locali: il dialetto o le lingue carnica, siciliana, calabrese e greca si miscelano con l'italiano per trattegiare una storia di foglie e piante, di vento e pioggia, di mari e di saette, di vecchio e gesti d'affetto. Epica e coinvolgente: con Maieron, Laquidara, Volterelli e Carrieri a fare da controcanto.

La frase: "Non lo può certo sapere / questo vecchio addormentato / che sopra il suo cuscino / il mio bacio gli ho lasciato / gli altri baci li porto dove non posso dire / in quel luogo oltre i luoghi / dove non basterà il mare"


Il reduce

Qui siamo dalle parti della "Guerra di Piero", un reduce della seconda guerra mondiale che ricorda come ha perso la mano in guerra e come i soldati, anche lui che non aveva mai sparato nemmeno a un fagiano, imparavano le geografia dai nomi dei posti che bruciavano, quando "a Nikolaevka brindavano col ghiaccio e col fuoco". Un preghiera laica scritta "col sangue non speso e una penna nera". Arrangiamento con tromba e corno francese che fanno atmosfera. Triste.

La frase: "O forsi l'è sta l to regal / strapamm via quela man sciagurada / che pregava per mia fass cupà / e sparava, sparava, sparava / a oltra gent che sparava"

Il blues di Santa Rosa

1/2

Che Davide avesse la passione per il blues lo si sapeva da tempo. Ha anche fatto un tour blues, ma qui, grazie anche alla collaborazione di Maurizio "Gnola" Glielmo, grande bluesman di casa nostra e al backing vocals di Roberta Carrieri, eccolo realizzare un magnifico blues italiano. Cambia perfino la voce. La storia è funzione del blues, il ritmo lento di una giornata estiva con alcune immagini molto azzeccate.

La frase: "E anche st'estàa l'è rua el prufessuur / che cifula e che chiama'l so cann / partii tri ann fa per un sass che hann lanciaa / e l'è gnamò riturnà"


Rosa nel vento

1/2
Inizia ed è già finita. Solo poche note: una chitarra che arpeggia, una voce sul far della notte, il soffio del vento e il solito finale che se ne va come la polvere sollevata dalla strada: "non conosco una rosa in grado di graffiare il vento / perché non conosco un vento che puà dimenticare una rosa". Solo 1'36", ma in grado di creare quella emozione che in fondo sta alla base di una canzone. Qualsiasi durata abbia. Anzi, chiudere una perla in meno di due minuti è un merito.

La frase: "Se te podet fermess chi / che in due tira 'l veent / i nigul g'hann poca memoria / ma l'erba resta in due l'è"

Yanez

1/2

Oramai questa la conosciamo tutti. L'alieno Davide Van De Sfroos l'ha sciorinata dal Palco del Teatro Ariston di Sanremo alla platea del Festivalone che l'ha apprezzata e votata. Finire sesto a Sanremo al debutto non è poi male, soprattutto cantando una lingua che il 90% d'Italia fatica a capire. "Yanez" è una bella canzone, che parte da una magnifica idea di partenza, casualmente, almeno penso, la stessa che ha ispirato Paco Ignatio Taibo II per il suo "Ritornano le tigri della Malesia (più antiimperialiste che mai)". In tutte e due i casi Sandokan e Yanez sono invecchiati. I pirati de Varees al Bagno Riviera fanno sorridere di più, ma il mood è uguale. Unico limite, la canzone non ha un finale degno. Smuore su Fitzgerald che va a Rimini a vedere i delfini. Si poteva osare di più. Forse se non ci fosse stato di mezzo Sanremo ...

La frase: "Stuzzichini, moscardini e una bibita de quatro culuur / abbronzati, tatuati, i henn pirati vegnù da Varees. / La pantera, gonna nera, cannottiera, cameriera / moev el cuu anche senza i gettoni ma l'è che dumà per cambiatt el bucer"
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Messaggioda Cialtroskj » mar mar 22, 2011 6:36 pm

Ciao.non sono daccordo su "la machina del ziu Toni".
La trovo molto coinvolgente.emotivamente e musicalmente.
La prima sera l'ho sentita un ora di seguito.
Forse bisogna avere dei momenti trascorsi in gioventù simili a questa storia per apprezzarla......
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Messaggioda sony » mar mar 22, 2011 8:10 pm

Non ho episodi o ricordi che mi legano alla storia de "La machina del Ziu Toni", ma mi piace un sacco, sia testo che musica!! :)
* Te, ciàmel amuur anca se l’eet mai savüü... ♥
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Messaggioda breva » mar mar 22, 2011 9:53 pm

anche per me quel pezzo è bellissimo. e l'ho anche scritto, al maimone. non sono riuscita a convincerlo. ma dovevo dirglielo... 8)

c'è dentro tanto di quel Davide, lì...
il se stesso a 15 anni, re della 'zoca de l'oli', e me lo immagino, anfibi, cresta, e la scoperta dei suoi punti di riferimento musicali, i ramones, gli stones, i black sabbath...
il se stesso a 15 anni, che sogna, come abbiamo fatto tutti, cosa ci sarà fuori da quel cancello. e la macchina diventa metafora della vita. chi ci starà seduto a fianco...mah! (quando esclama 'MAH!' nel disco è insuperabile... :) ). quanti dubbi, a 15 anni...

poi, si varca il cancello. ed ecco i compromessi, il ministro, la torta da tagliare, le carte della banca, la vita randagia di un nomade di lusso come lui, che però non si rassegna ad essere la rockstar, e allora torna a sognare, e a buttare il cuore oltre l'ostacolo. e gratta il mondo come una crosta...

c'è dentro tanto di quel Davide, lì dentro. ironicamente disincantato, scettico, eppure sognatore.
e c'è dentro tanto di tutti noi, 40-50enni, che ci rivediamo in lui.
ma anche tanto dei giovani e giovanissimi, che si identificano con il Davide giovane. e chissà che musica ascoltano, sulla loro macchina del ziu toni... :D
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Re: da www.bielle.org

Messaggioda Cialtroskj » mer mar 23, 2011 7:29 am

Breva.......
E' un pezzo che a me picchia dentro.....io nella macchina del ziu Toni ci sono ancora seduto.....
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Messaggioda breva » mer mar 23, 2011 8:36 am

Breva.......
E' un pezzo che a me picchia dentro.....io nella macchina del ziu Toni ci sono ancora seduto.....

tutti noi ci siamo seduti, in un modo o nell'altro. e anche Davide, ne sono sicura. per questo la ritengo una delle canzoni più schiette mai scritte da lui. come se ci avesse tutti fatto fare un giro nel suo passato, e nel suo presente... :)
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