Da "City" del 15/03/2011

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Da "City" del 15/03/2011

Messaggioda Fantasmino » mar mar 15, 2011 10:37 am

Sono un patriota smarrito che naviga nella vita

Davide Bernasconi In arte Van De Sfroos, 45 anni, cantante comasco che compone in dialetto “laghée”. Ma che piace anche al Sud.



Al Festival di Sanremo ti sei piazzato quarto, niente male per un cantante “regionale”. Un bilancio di questa esperienza?

È accaduto tutto in modo inaspettato. Un po’ per il genere musicale che faccio, un po’ perché canto in dialetto, non avevo mai pensato di poter arrivare a Sanremo, anche se il Festival l’ho sempre seguito con interesse. Invece quest’anno è arrivata la proposta di Gianni Morandi. Direi che è stata un’esperienza credibile, onesta e appagante: ho avuto una grandissima risposta da parte del pubblico, anche da quello che non mi conosceva per niente.

Sanremo ti ha “sdoganato”.

Io non pretendo di arrivare a chi non è interessato al genere musicale che faccio, ma cerco di farmi conoscere da chi può apprezzarlo. E non è un fatto geografico. Infatti la mia canzone sanremese, molto ritmata, è arrivata a tutti, nonostante la difficoltà linguistica.

Canzone, “Yanez”, che dà il titolo al nuovo disco che esce oggi.

Un album diverso dai precedenti: non è solo folk, non è solo dialetto laghée (assimilabile al comasco, ndr). In questo lavoro ci ho messo tantissima cura, sia nei suoni che nei testi. Un disco per la prima volta intimo. Addirittura romantico. In cui parlo di me. Ho trovato il coraggio - o forse l’esigenza - di navigare nella mia vita.

A chi ti ispiri per i pittoreschi personaggi delle tue canzoni?

Ho sempre raccontato storie sotto forma di cortometraggi in musica, con protagonisti individui sulla soglia, nel bene o nel male. Persone che conoscevo, spesso gente del mio paese. Sono partito dagli altri per trovare la forza di scandagliare i miei fondali. E in questo disco metto sul piatto me stesso. Parlo addirittura d’amore! Ma non quello da cioccolatini. Sono contento di esserci arrivato solo adesso, con calma.

Come ogni tuo disco anche questo è chiuso da una canzone dedicata al vento. Perchè?

Il vento è uno dei simboli a cui sono più legato: è il cambiamento, ciò che muove le onde e le nuvole.La stagnazione invece porta solo a marcire.

In “Yanez” tocchi molti tempi importanti, c’è anche una canzone contro la guerra.

Cerco di raccontare che ci sono cose che uccidono l’uomo più della morte. In generale sento avanzare in me un bisogno di spiritualità: è un rifugiarsi nei valori, non importa di quale credo. Un modo per resistere al nulla dei nostri tempi.

Ti stai svincolando dalla tue origini?

No, assolutamente. Scegliere questo nome (Van Des Sfroos in dialetto tremezzino, parlato sul ramo occidentale del lago di Como, si riferisce al contrabbando, ndr ), ispirarmi alla mia terra, sono state scelte viscerali. Non c’è nessuna strategia, non è il voler fare i diversi a tutti i costi. Ho solo assecondato l'amore per il mio territorio e per il modo di essere della mia gente. È stato il mio motore espressivo. E poi ho scoperto nuovi interessi. Io faccio un genere di musica etnica, ma la mia musica non è - sia ben chiaro - una gara di campanili. Faccio concerti in Sardegna, in Sicilia, in tutta Italia. In posti lontani dalla mia terra ma che si riconoscono nella voglia di preservare un’identità culturale. Io cerco sempre di alzare il tiro, non me ne frega niente di restare nei contorni del mio giardino.

Sei anche uno scrittore. A chi ti ispiri?

Sono uno scrittore istintivo. Non mi ispiro a nessuno. Anche se sono molto legato a Elio Vittorini: scrisse “Uomini e no” in una camera da mio zio, su sul lago di Como.

Capitolo Lega Nord.

Sono dieci anni che rispondo a questa domanda e non vorrei farlo più. Io non sono il paladino di un bel niente, mi hanno attaccato tante etichette ma io non ne ho scelta nessuna. Sono ateo politicamente. Mi sento italiano, sono un patriota.

Sei apolitico, ma cosa pensi della situazione del nostro Paese?

Quando ero alle medie mi ricordo il giorno in cui hanno trovato il cadavere di Moro nel baule di un’auto. La stessa paura, lo stesso senso di smarrimento li provo adesso. Non riesco a riconoscere nel panorama politico una luce credibile. Non vedo emergere uno spirito di unione capace di tirare fuori dal fango il Paese. Mi tengo la mia politica: scrivere musiche per muovere sentimenti migliori.

Ultima curiosità: perché hai lo stemma della Sardegna sulla chitarra?

Amo la Sardegna, merito di una vacanza tanti anni fa. È solo il mio mal d’Africa personale.

Emanuela Griglié
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