23.02.11 - Ci voleva un comico
in editoriale- Umberto Brindani
Care lettrici, cari lettori,
ci voleva un giullare, il re dei giullari, per ricordarci che siamo una nazione. Un solo popolo, una comunità. Ci voleva Roberto Benigni, che a cappella canta meglio del lo stralunato Tricarico, per dirci insieme a lui che i tre colori sono uno solo. Non bastava il presidente della Repubblica, non bastavano 150 anni di storia: no, ci voleva un comico.
Oggi, mentre scrivo, è il sabato della finale di Sanremo. È un giorno di ordinario buonumore, per i 10 milioni di italiani che hanno seguito i cinque giorni dell’evento in tv. E di grande gioia per il trionfo di Roberto Vecchioni («Che questa maledetta notte dovrà pur finire»). Ma basta mettere il naso fuori dal recinto chiuso del festival per sentire una fastidiosa puzza. Puzza di disfacimento, di roba andata a male. Il governo decide, meritoriamente, che il 17 marzo sarà a tutti gli effetti (chiusi gli uffici, le fabbriche e le scuole) l’anniversario dell’Unità d’Italia. La Lega si astiene e fa polemica. Il ministro Roberto Calderoli parla di «pura follia» e di scelta «incostituzionale», proprio lui che la Costituzione vorrebbe usarla, diciamo così, per scopi di igiene personale. Un europarlamentare come Mario Borghezio, cioè un signore che rappresenta tutti noi all’estero, commenta che «per i padani sarà un giorno di lutto». Parli per sé: io sono padano, come lui, e per me sarà un giorno di festa. Lavorerò un po’ di più il giorno prima e il giorno dopo, ma il 17 marzo sarò felice di condividere un sentimento con gli altri 60 milioni di miei connazionali, che non sono tali soltanto quando si vince ai Mondiali di calcio.
A proposito di calcio, o meglio di calci, tra i ministri che hanno votato «sì» c’è Ignazio La Russa, quello che ha preso a pestoni, digrignando i denti per lo sforzo, l’inviato di Annozero. Gente strana, abbiamo al governo e in Parlamento. Per esempio questo Giuseppe Menardi, eletto con il Pdl, passato con Fini, tornato al Pdl. Tutto legittimo, ma sentite come spiega il suo percorso politico: «Ti innamori di una donna, ti piace, ti rende felice. Poi passa il tempo e, conoscendola, capisci che non è più il tuo tipo. Che fai? Ti fidanzi con un’altra. E può piacerti immensamente, e poi di nuovo comprendi che non è la persona giusta. Cosa decidi dunque?». Già, cosa? Una terza? «Mai dire mai, nella vita. Però sono strafelice di essere rientrato nella maggioranza. Pienamente appagato». In attesa della quarta, forse.
Mah. «C’è un Paese europeo che ha caratteristiche da mondo arabo: un’economia sclerotica, vita civile danneggiata da corruzione e malavita, crescente scontro generazionale. È controllato da una classe gerontocratica blindata in politica e in economia,che costringe i giovani migliori a espatriare. Questo Paese è l’Italia».Chi ha scritto queste orribili cose di noi? Qualche ex terrorista emigrato a Parigi? Un veterocomunista rifugiato al Fatto Quotidiano? No: le ha scritte il Financial Times, la bibbia del capitalismo finanziario internazionale.
Viva Benigni, dunque. E viva anche Tricarico, stonature a parte. E naturalmente un grande hurrà per Vecchioni (i tanti che l’hanno votato forse volevano dire qualcosa anche ai nostri politici). E grazie pure a Davide Van de Sfroos, erroneamente etichettato come leghista, in realtà italiano vero e integrale (ha cantato Viva l’Italia di Francesco De Gregori) e titolare della (secondo me) più bella canzone del Festival. «Yanez De Gomera, biciclett e vuvuzela, uduu de fritura de pèss e pizza de purtà via, stuzzichini, moscardini e una bibita de quatru culuur…». Semplicemente grandioso.