dal mensile "Il diciotto"

Articoli su Davide e il suo mondo apparsi su giornali e riviste

Moderatore: Baristi

dal mensile "Il diciotto"

Messaggioda marina » mar lug 29, 2008 10:04 pm

la recensione di PICA! recentemente pubblicata sul mensile "il diciotto" di Milano

Era atteso dai tanti fans che popolano, da sempre, i suoi concerti, da quel mondo legato alle sue storie, alla sua capacità di raccontare in un dialetto forbito ed ironico con il quale tratteggia impagabili personaggi e situazioni. Lui è Davide Van De Sfroos, al secolo Davide Bernasconi ed il lavoro tanto atteso, dopo “Akuaduulza” è “Pica!”. Fisarmonica e suoni pieni di allegria sono il primo, bene augurante impatto con l’album. El puunt è una storia piena di luce, amori, ombre, aria e fascino del lago. Un innamorato che spera sempre che la sua amata si affacci alla finestra ma poi se la immagina insieme ad uno “senza la camicia e con il bicchiere in mano”, in un tipico quadretto vandesfroosiano cui siamo piacevolmente abituati per le tinte ironiche ed amare che tratteggiano i personaggi delle canzoni del cantore lagheè. Lo sciamano potrebbe essere una sorta di seguito musicale del primo brano, anche se il tema è differente. La canzone ha un incedere quasi latino con la malinconia in tasca e con tanti riferimenti geografici a rendere visivo il percorso della storia. I suoni sono pieni di colori, e la fisarmonica e la voce di Davide sanno amalgamarsi come due affiatati ballerini mentre raccontano di pipistrelli e del loro volo obliquo. Come obliquo è, spesso, il percorso della nostra vita. Il suono dell’organo Hammond è sempre un bel sentire e quello che bussa alla porta di L’Alain Delon de Lenn è davvero eccitante inserito, com’è, tra chitarra blues e voce scura. In pochi minuti sono racchiusi gli eventi di una vita di un personaggio sempre in bilico tra mito e realtà, tra millanterie da bar e miserie esistenziali. L’incedere del brano è blues, quasi a volere ancor più sottolineare la tristezza della situazione narrata dalle liriche della canzone. Un personaggio, uno dei tanti, della grande tavolozza umana disegnata, in questi anni, dalla penna ispirata di Davide Bernasconi. La voce di New Orleans si erge, struggente, dalla storia narrata dall’omonima canzone. Una storia d’amore che cerca di manifestarsi nella sua grazia mentre intorno si prepara, prima e si manifesta, poi, la tragedia dell’uragano Katrina. L’aria della canzone, all’inizio trasudante, con le sue immagini, di umido e palude, si trasforma in un affresco di distruzione e desolazione che viene ben rappresentata dal suono del violino e dall’enfasi melodica che ne promana. E’ una bella e delicata canzone che annuncia un amore e poi lo vede trascinato via dagli eventi. La ballata del Cimino irrompe nelle storie raccontate, in questi anni, con interessante prolificità letteraria da De Sfroos, con il suo tipico sarcasmo, la sua capacità di scrivere una sorta di film comico in quattro minuti, senza che manchi una virgola, una giusta inquadratura, un dettaglio adeguato. Anche in questa canzone ciò che emerge è l’umanità di un uomo, il Cimino, che fa il contrabbandiere ed un giorno incontra la Guardia di Finanza e per sfuggire che fa? Si getta nel lago e comincia una fuga che lo porterà fino alla cattura ma non sappiamo se anche alla condanna perchè il suo alibi, visto l’abbigliamento finale, figlio delle sue peripezie è...lasciamo a voi il gusto dell’ascolto fino alla fine della storia immersa da una sonorità ricca di banjo e chitarre brillanti che compongono il giusto supporto musicale ad una storia serrata e ricca di sorprese. Chitarra e voce aprono Il minatore di Frontale nel quale il tono si fa serio e gli umori delle ballate allegre e scanzonate sono messe da parte. Il violino dalle tinte scure dà sostegno alla voce che racconta la storia di uno scavatore di gallerie che, tutti i giorni della sua vita, ha “sfidato tutti i giorni la strega silicosi”. L’incedere della canzone ricorda le work songs americane nelle quali si racconta(va) del lavoro dell’uomo, della fatica, della disperazione e dalle cui trame sono nati spirituals e blues ed il frantumare la roccia, nella canzone, è come la metafora del frantumare la vita che, insieme, frantuma te....40 pass (forse in ricordo dei 40 dì, 40 nott...?) è forse la canzone più bella dell’album per la storia che racconta, per il pathos profuso, per la musica, soffice ma anche suggestiva e piena di risentimenti. Ci sono tre amici che, dal lago sono scesi a Milano perchè la vita li ha chiamati a trasferirsi in città ed hanno nel riflesso delle acque del Naviglio l’unico aggancio con altre acque ben più affascinanti. Ma tant’è, questa è la vita che li porterà, nel tempo, sui destini di sconfitta e nel carcere di San Vittore vicino a quel Duomo simbolo della città ed a quella madonnina, là in cima, che osserva lo svolgersi della vita di quella città. Una canzone amara, sul senso della vita personale e sulle strade che, spesso, portano su destini inattesi. Una canzone che il suono del pianoforte rende davvero particolare e che fa immergere in quell’aria umana tanto cara al maestro Jannacci e che, da tempo, non ascoltavamo con la stessa intensità profusa dalle liriche e dalle note di questo brano. Una sorta di raggae lacustre si manifesta in La terza onda, che si propone con un ritmo sincopato e coinvolgente. La terza onda come metafora del quotidiano nel quale ci si attende sempre una sorpresa, la terza onda come una situazione che tutto purifica, che tutto modifica. La terza onda, come elogio di qualcosa che tutto cancella e riporta al punto di partenza. Ancora un suono a tinte raggae con le chitarre asciutte e decise. Il suono delle chitarre si uniscono a quello dell’organo hammond alla voce ed all’armonica e creano un’atmosfera scura in La Grigna, sorta d’ode ad una montagna cara agli scalatori lombardi (e non solo) che ricorda, alla fine, il proverbio della “Grigna con il cappell e la Grigna senza il cappell...” (di nuvole) a giustificazione del tempo che farà. Chitarre, armonica, steel e voilà un altro quadretto di vita è servito. Il costruttore di motoscafi gioca in casa di Davide data la sua frequentazione con il lago di Como di cui tesse poetiche liriche odi perchè “...è fatto come un uomo ma per me è una donna...” ed in quel lago tutto va, anche “la vita, finchè gira l’elica”. E proprio l’elica dà la vita al protagonista, che costruisce motoscafi alla moglie, Paola, ai suoi tre figli chissà, forse un giorno seguiranno le orme paterne e condurranno la sua stessa vita. Il vento, che cancella le onde del lago, ed i figli, come segno di speranza, sono il segno distintivo di una canzone che possiede tutti gli ingredienti per diventare da “canzone locale” a canzone per tutti dove, nella ricerca della barca giusta c’è anche la ricerca dell’anima, troppo spesso dimenticata nelle pieghe della vita. Ma, forse chissà, i figli...Fil de feer si affaccia con un suono country ben ingegnato, con violino ed armonica a darci dentro ed il banjo che crepita nota in libertà. Il suono è caldo e brillante e le liriche sono una rassegna di immagini allegre e colme di similitudini e “follie” linguistiche. Il dialetto, lanciato come un ariete, è il grimaldello per entrare in chiaroscuri altrimenti irraggiungibili dal punto di vista dell’immaginazione. Il suono delle chitarre elettriche rotonde e calde e l’organo hammond sono il migliore incipit per Furestee, che racconta del forestiero che è dentro ciascuno, sempre pronto a fuggire, fisicamente e metaforicamente, sempre pronto a tornare e a “picà la tu porta” per ricordarti chi sei, da dove vieni, dove vorresti andare. E’ una canzone sul rimpianto del tempo passato (sprecato?) e dei ricordi che annebbiano il cuore. Il suono pastoso dell’hammond ben si coniuga alle chitarre elettriche, mai invadenti, ed all’armonica piena di nostalgia. Forse dalla lettura de Tutti gli uomini sono mortali o dal sogno di una malintesa immortalità, nasce la trama di una delle canzoni più originali dell’album, Il cavaliere senza morte, in cui l’arpa ed il flauto introducono la voce di Davide per una storia volutamente (e naturalmente) malinconica. Già, perchè è della storia del mondo che si parla, del cammino terreno dell’uomo e della sua inemendabilità al sangue, alla guerra, alla morte, alla distruzione. In un caleidoscopio di immagini piene di dolori il protagonista racconta le sue gesta ma anche che “ho ucciso, ma non ho mai scritto canzoni” quasi ad indicare che non ha fatto la cosa più importante della vita e ricorda che ha bevuto tanto vino ma non quando ha bevuto dal Santo Graal, a significare che quasi sempre diamo importanza alle cose più banali e tralasciamo quelle più importanti e “la spada di Re Artù non serve se a maneggiarla è un rimbambito”. E dopo tanto guerreggiare ecco che arriva il sonno ristoratore quasi la morte ma al risveglio, ecco i carri armati. Un coro potente attraversa la canzone ed il suono heavy della chitarra elettrica ed una sezione ritmica potente chiudono il brano elevando il climax con forza evocativa. Ci avviciniamo all’epilogo ed arriva l’attesa storia d’amore, molto pittoresca, alquanto improbabile ma ricca di lampi e di verve umoristica. Loena de picch arriva in maniera morbida e sciorina una storia fatta di sguardi esteriori ed interiori, di passioni mai dette, di un “ti amo, ma non te lo dirò mai...” che rimane appeso per tutta la narrazione. Fisarmonica ed arpa cesellano, poi, il suono con note delicate e suggestive. Ed alla fine arriva l’ora di chiudere il libro dei sogni, delle immagini, delle attese, delle ombre. Retha Mazur, un omaggio al vento, una canzone scura e giocata sulla voce, il violino, la chitarra acustica, l’evocazione delle forze della natura. Invisibili ed impalpabili ma presenti in ogni momento della nostra vita. La voce è intensa, cupa, quasi interrogativa. E’ un’ode al vento “che soffia dove vuole...”, è un omaggio al lago, figlio delle glaciazioni, padre di tante emozioni.

Rosario Pantaleo .
marina
 
Messaggi: 973
Iscritto il: mer feb 19, 2003 5:38 am

Torna a Rassegna stampa

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 33 ospiti

cron