da: "La Provincia" - 10/07/2007

Articoli su Davide e il suo mondo apparsi su giornali e riviste

Moderatore: Baristi

da: "La Provincia" - 10/07/2007

Messaggioda marina » sab ago 11, 2007 10:12 am

«La grigia Ticosa, un segnale di disperazione» Il cantautore-poeta "laghèe" e la fabbrica abbattuta: «La mia Como migliorava, ma il rudere era sempre lì»

Il cielo è plumbeo anche se è pieno agosto, come se qualcuno avesse avvisato lassù che si parla di Ticosa. Il grigio è il colore dominante: è grigio l'area colmata dopo l'abbattimento della struttura, sono grigie le case circostanti e quelle che non lo erano lo stanno diventando grazie alle incessanti emissioni dei gas di scarico dei mezzi in transito su quella che a Como si chiama, modestamente, "tangenziale". La vegetazione, esigua, sembra nascere già fiaccata e secca, steli verde pallido, come se le radici affondassero nell'asfalto e solo da quello potessero trarre nutrimento. Dopo qualche minuto si ha la nettissima sensazione che anche gli abiti che si hanno indosso stiano diventando grigi, forse anche la pelle e i capelli, come in un episodio di "Ai confini della realtà".
E per quasi trent'anni è stato anche peggio, davvero ai confini di una realtà che aveva le fattezze, gargantesche, di quel cadavere industriale che sembrava dovesse decomporsi sotto gli occhi di tutti, con esasperata lentezza.
«Quando un musicista nuovo saltava sul carrozzone, indirizzarlo all'appuntamento era abbastanza semplice: ci vediamo nel parcheggio fra la Ticosa e il cimitero così uno pensava di essere stato assoldato dal Gruppo Tnt, o, forse, di stare per entrare a far parte della famiglia Addams».
A parlare è Davide Van De Sfroos: da tanti anni gli uffici della sua casa discografica si trovano a pochissimi metri dalla fabbrica. Affacciandosi, dalle finestre quello si vede, quell'aria si respira. In mezzo a tutto quel grigio. Un bel salto per uno che, a casa sua, ogni giorno aprendo gli scuri si ritrova davanti allo specchio d'acqua del lago.
«La Ticosa mi è sempre sembrata uno dei grandi punti di disperazione della città. In questi anni Como è cresciuta, è migliorata, ha rimesso a posto diverse cose che non andavano. Ne restano due: una è il San Martino, e continuerò a ripeterlo, perché conosco benissimo quell'area e va assolutamente valorizzata».
E l'altra? E l'altra è la Ticosa, naturalmente, anzi, come si deve dire oggi l'area ex Ticosa, in attesa di vedere sorgere, in suo luogo, qualcosa di completamente diverso, che dovrebbe dare un po' di colore a tutto quel grigio. «Non ho ancora visto bene il progetto», confessa il musicista che, d'altronde, nell'anno non si è fermato un momento, sempre in giro per concerti, lontano da quei sassi. «Com'è? Bello?», chiede mentre si avvicina al parapetto che segna il limite invalicabile, perché è così bello che l'area è già sotto sequestro e il cantautore laghée, nell'immediato, si preoccupa di cose più importanti di fronte all'obiettivo della macchina fotografica: «L'amianto non passa attraverso questi teli, no? Sono fatti apposta, no?» e poi, con la spontaneità del bambino che si domanda perché nessuno ride delle nudità del re, chiede una cosa ovvia, di quelle che nessuno ha il coraggio di chiedere: «Sì, ma com'è fatto l'amianto? Come lo riconosco?». E intanto guarda preoccupato quell'ammasso di detriti coperto dai teloni: la nuova Ticosa sorgerà, per adesso ricorda le case delle nonne, quando andavano in villeggiatura e, prima, ricoprivano tutto di bianchi lenzuoli, donando alla casa un'atmosfera surreale, inquietante.
Il futuro parla di abitazioni e uffici, spazi commerciali, esercizi pubblici, l'albergo, l'inevitabile palestra e, elencato all'ultimo posto in tutte le descrizioni del progetto, uno spazio culturale senza contare, naturalmente, i parcheggi.
Ma ci sarà anche un grande parco, un po' come si costruiva alle porte di Milano, all'inizio degli anni Settanta. Altrimenti " Cosa avrebbe fatto Van De Sfroos" «Sono un pessimo urbanista, devo ammetterlo - dice - Sono portato a fantasticare, senza preoccuparmi della funzionalità di quello che ?costruisco' nella mia mente. L'importante, arrivati a quel punto, era cambiare. La Ticosa sembrava il ritratto di Dorian Gray di Como». Dorian Gray, ancora grigio.
«Mentre la città andava avanti e diventava sempre più bella, la fabbrica era sempre più macilenta». A guardarla con attenzione, ogni giorno, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno (e, sì, decennio dopo decennio: c'è stato tutto il tempo), si notavano i pezzi che sparivano, i vetri infranti, il cemento sempre più corroso.
«Sembrava avere qualcosa di diabolico: quando ho visto l'omino con la bombetta di Magritte che piangeva sangue mi sono davvero impressionato». È storia recente, questa, quando un lato del mostro è diventato la base per una serie di cartelloni pubblicitari, un po' come quando si mette una toppa tutta colorata per coprire un orrendo buco sui pantaloni. E, forse, lì la pubblicità avrebbe potuto basarsi su un altro capolavoro del maestro belga: "Ceci n'est pas une pipe", "questa non è una pipa", apponeva in calce a un quadro che ne rappresentava una. Ecco: "Questa non è una fabbrica?, come estremo tentativo di illusione ottica per chi entrava a Como. Alla fine, forse, non eravamo noi a osservare la Ticosa, ma il contrario: immensa, immobile, immutabile nella sua decadenza, come se le sue finestre fossero tanti occhi, tanti sguardi che chiedono, bruscamente, «Se gh'ii de vardà?», cosa avete da guardare?
Alessio Brunialti
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