De
Sfroos. Chi è? È un poeta? No. È un cantastorie?
No, è riduttivo. È un cantante? Non solo. E
allora? È tutto ed è tanto. “Il testo
è fondamentale, come se fosse il pilota di una vettura,
dove la vettura è la musica”; una frase di Davide
che riassume, ancora una volta, un significato più
profondo, più intimo.
I
suoi testi hanno bisogno della musica per diventare canzone,
di quella musica che solo De Sfroos può darci, così
diversa e così mutevole, come le onde del nostro beneamato
laach de Còmm, così inusuale che ne hanno definito
l’autore un cantante folk rock, ovvero fusione di ritmi,
melodie e testi apparentemente incompatibili. Eppure ce l’ha
fatta, ha trasformato i suoi pensieri, le sue storie, le storie
del lago, in canzoni, grazie alle scelte musicali adatte, perché
“il testo è importante ma ha bisogno della giusta
musica per diventare canzone, come un film ha bisogno della
colonna sonora”.
Ma
da dove nascono le sue storie? Dal lago appunto, dai suoi
abitanti (La ballata del cimino, Ul mustru, Lo sconcio), dalle
sue presenze caratteristiche (La balera, La curiera), dai
ricordi (Pulenta e galena fregia, Yanez). Possono volerci
mesi e anni per capire come raccontare una storia in modo
che non risulti banale o troppo difficile, fino a che la si
scrive, si registra ed è fatta, anche se spesso ci
si rende conto che quella non è assolutamente una canzone
definitiva, perché è nata totalmente dalle onde,
che per natura mutano, corrono e scompaiono.
Il riferimento è ad Akuaduulza, dall’ omonimo
album. “e quest’unda vagabunda l’è
na lèngua che bagna i paròll, lèngua
che rànza, lèngua redùnda, Prema l’è
timida e poe l’sbròfa tucc”: l’anima
di raccontatore di eventi qui è chiara; in quest’
ode al lago, le acque dondolano, e cullano chi ascolta.
I violini sono “gli agenti esterni”, sono i
gabbiani e le nuvole che si riflettono nell’acqua
blu, e quando si ascolta “akuaduulza” si vedono,
sono lì intorno che volano sopra le onde.